La figlia del carabiniere ucciso dalla ‘ndrangheta che cena con il boss e si batte contro le certificazioni antimafia

favaivanadi Claudio Cordova - Come l'Arma dei Carabinieri possa aver permesso l'ingresso al suo interno con simili coinvolgimenti familiari, resta un mistero. La storia è quella di Ivana Fava, molto di più di una donna vittima, all'insaputa delle condotte del marito con il mondo che le crolla addosso quando l'uomo viene arrestato per la sua vicinanza alla 'ndrangheta. Ivana Fava è molto di più. Triste, ma vero. Triste perché la donna è ufficiale dell'Arma dei Carabinieri con il grado di tenente, ma, soprattutto, perché è figlia di quell'Antonino Fava, anch'egli carabiniere, ucciso insieme al collega Giuseppe Garofalo in un agguato dalla 'ndrangheta, probabilmente nell'ambito della strategia stragista porta avanti dalla criminalità organizzata calabrese in combutta con Cosa Nostra nei primi anni '90.

Il ruolo di Ivana Fava, che non è indagata nell'inchiesta "Eyphemos", con cui la Dda di Reggio Calabria ha colpito la 'ndrangheta di Sant'Eufemia d'Aspromonte e i suoi referenti politici e istituzionali, è attivo, accanto al marito Antonino Creazzo, finto agli arresti per la spregiudicata campagna elettorale condotta a favore del fratello Domenico, divenuto consigliere regionale e ora ai domiciliari.

A cominciare dalla vicenda in cui Creazzo le racconta di aver compiuto un gesto "eclatante" in favore di un suo amico, Cosimo Petrolino, fratello massone, che era vessato da un delinquente. Antonino Creazzo narra di un prestito di euro 57.000,00 che Petrolino aveva ricevuto e di una restituzione di euro 62.000,00 già operata in favore del mutuatario. Precisa di aver inviato "un'ambasciata" al soggetto che, senza titolo, pretendeva ancora denaro dal suo amico, contenente una intimazione ovvero quello di prendere le distanze dalla vittima, che diversamente lo avrebbe denunciato. La Fava, ufficiale dell'Arma, non pensa minimamente a una denuncia, ma replica che sicuramente l'estorsore avrebbe desistito, vista la persona (cioè quella di Antonino Creazzo Creazzo)da cui proveniva l'avvertimento, che era fratello di un militare della Guardia di Finanza e marito di un ufficiale dell'Arma dei Carabinieri.

--banner--

Agli atti dei pm Gaetano Paci e Giulia Pantano è presente anche un selfie in cui il tenente Fava è ritratta a cena insieme al marito, ma anche insieme a Domenico Alvaro, condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso nel processo "Xenopolis", che è figlio di Nicola Alvaro, elemento di spicco della cosca Alvaro "ramo carni i cani", nonché cognato di Giuseppe Crea, figura apicale della famiglia Crea di Rizziconi. E la donna sarebbe stata ben cosciente dell'appartenenza di Alvaro, dato che in una conversazione con il marito questi le racconta di di aver saputo del rigetto di un ricorso presentato dall'amico Alvaro avverso il provvedimento di applicazione di una misura di prevenzione cui era stato sottoposto. Appresa la notizia, la Fava si diceva per nulla sorpresa vista l'importanza criminale del soggetto ed il cognome portato: "Eh, ma come pretendono?! Ma si rende conto del nome che porta? Alvaro ... non è che stiamo parlando di ... di Domenico quello di fronte là, parliamo di Domenico Alvaro ... è normale che gliela rigettano! Può fare tutti i ricorsi che vuole!".

Proprio nella caserma della Scuola Allievi Carabinieri di Reggio Calabria Nino Creazzo sognava di effettuare un incontro elettorale in favore del fratello Domenico. Il 9 novembre 2019 ne parla con il boss Cosimo Alvaro, confidandogli che stava organizzando un incontro politico all'interno della Scuola Allievi dei Carabinieri di Reggio Calabria, con l'accordo del Comandante, quale momento di propaganda elettorale per il fratello. Al boss Alvaro, Creazzo rappresenta come la circostanza costituiva motivo di preoccupazione per gli avversari, che avrebbero percepito, con l'organizzazione dell'evento, la vicinanza del candidato Creazzo all'Arma dei Carabinieri: "Io l'incontro lo sto organizzando alla scuola allievi, con il comandante della scuola (n.d.r.: ride), faccio che si cagano tutti addosso. E' fatto il fatto, pure questo. E allora se c'è questo fatto...".

Ma c'è di più.

Dall'analisi delle intercettazioni, emergerebbe come Nino Creazzo avesse avviato dei contatti con Stefano Bivone, in favore del quale, in cambio, evidentemente, di un tornaconto elettorale per il fratello, stava evadendo un'ulteriore richiesta, ovvero quella di effettuare un intervento in Prefettura, tramite le conoscenze della coniuge Ivana Fava, per far sì che al di lui padre venisse rilasciata regolarmente una certificazione antimafia, in relazione alla quale si era registrata una problematica. Tra l'altro si comprenderebbe che la Fava - recatasi in Prefettura per perorare la causa di Bivone, che aveva incontrato un problema nel rilascio della certificazione antimafia - aveva utilizzato pure toni arroganti e minacciosi nei confronti del responsabile dell'istruttoria della pratica, che non aveva subito dato un parere favorevole. Emergerebbe inoltre che i funzionari prefettizi si erano fino a quel momento opposti al rilascio in favore di Bivone della certificazione antimafia, perchè avevano rilevato l'insussistenza dei requisiti richiesti per legge. E il diniego sarebbe stato fortemente avversato dalla Fava, che aveva rilevato la sua competenza per aver già lavorato in quell'ufficio, e in sostanza aveva attribuito al responsabile del procedimento superficialità nell'istruttoria della pratica di Bivone, perché riteneva che mancasse agli atti una sentenza per la parte favorevole.

In realtà, Bivone aveva avuto problemi giudiziari, sia pure risalenti, che potevano aver inciso sul mancato rilascio della certificazione perché il reato di cui era stato imputato era stato solo dichiarato prescritto e non era invece intervenuta una sentenza di assoluzione.

Non un comportamento degno di un carabiniere. E, del resto, alla Fava, il carabiniere non piaceva farlo. Entrata da civile (e qui sta, forse, la superficialità nei controlli dell'Arma) ambiva a lasciare l'incarico nell'Arma cui è attualmente preposta per ritornare a lavorare in quell'ufficio in Prefettura.